Nel 2024 la musica dal vivo in Italia ha fatto il botto: 39 mila concerti (+6,3% sul 2023), 24 milioni di spettatori, 4,5 miliardi di indotto. Milano da sola vale 400 milioni, Roma segue, Napoli e Torino crescono. Ma dietro il dato che fa titolo c’è la parte meno raccontata: biglietti più cari, costi tecnici ed energetici in salita, eventi concentrati sempre negli stessi hub e soprattutto una fascia media – club, teatri storici, locali che facevano circolare gli artisti – che sta faticando a stare in piedi. È il paradosso del settore: più live per tutti, meno posti dove suonare davvero.
Lo racconta il Cult di domani, che parte dall’avvertimento di Carlo Parodi (Assomusica): il boom post-Covid ha saturato il mercato e polarizzato l’offerta sui grandi palchi, lasciando scoperto il Sud per mancanza di strutture e desertificando i circuiti intermedi. E il cantautore e turnista Alberto Bianco è netto: «La spinta è tutta sugli stadi, ma i luoghi dove si cresce – club e spazi medi – stanno chiudendo». In mezzo, un pubblico che è disposto a spendere anche 80-100 euro per un concerto, ma che poi non ha più budget per i live “minori”: risultato, l’ecosistema si assottiglia.
Nel numero analizziamo anche l’altra faccia del fenomeno: perché la musica dal vivo tiene così tanto in un Paese con salari fermi? come impatteranno gli obblighi europei su logistica ed eventi all’aperto? e quali sono i modelli che al Sud stanno funzionando (vedi Puglia, Notte della Taranta) nonostante l’assenza di grandi arene? Un dossier per capire se questa crescita è sostenibile o se stiamo bruciando troppo in fretta i luoghi che la rendono possibile.

