Ogni impresa che cresce per linee esterne deve trasformare un’operazione in sinergie in risultati che tengano in fabbrica e a conto economico. Qui i direttori operations diventano il perno della partita: leggono la logica industriale del deal, mettono a nudo plant, reti logistiche e vincoli di capacità, decidono dove imporre il modello di gruppo e dove l’acquisita può dettare lo standard, con un obiettivo chiaro: tenere insieme efficienza produttiva, persone e quick win mirate.
Sarà proprio questo il tema del nuovo numero del settimanale OperationsManager, che sarà disponibile sul sito operationsmanager.it a partire dal primo pomeriggio di domani, venerdì 21 novembre. L’inserto dedicato al mondo dei processi e dei loro architetti nelle fabbriche, edito da ItalyPost in collaborazione con auxiell e AzzurroDigitale, vedrà intervistate tre realtà (e tre dei loro protagonisti): Fas International, Inn-Flex e Streparava.
Scorrendo le pagine economiche si legge «deal trasformativo», «nasce il campione nazionale», «piattaforma di crescita per il settore», con il solito richiamo a sinergie, nuove geografie industriali e valore creato per gli azionisti. I numeri confermano: il mercato globale di M&A ha sfiorato i 1.900 miliardi e l’Italia si distingue con quasi 60 miliardi di operazioni. Una narrazione che fa scena, ma che non dice cosa significhi per chi dovrà renderla vera in fabbrica: per chi guida le operations quei 60 miliardi diventano pressione concreta, mantenere il servizio ai clienti, trattenere le competenze chiave, ridisegnare plant e reti logistiche senza trasformare l’integrazione in una lunga emergenza.
Il tempo utile, per les operations, comincia molto prima del closing. La domanda chiave non può essere solo finanziaria, ma industriale: perché stiamo comprando, per entrare in un segmento non presidiato, completare una gamma, internalizzare una fase critica, avvicinarsi a un cliente strategico? Se la risposta non è cristallina per chi governa gli impianti, le scelte successive – quali plant tenere o chiudere, dove concentrare i volumi – diventano un procedere a tentoni. La due diligence operativa serve a fotografare plant e magazzini, cosa produce chi, mix produttivo, vincoli di capacità, flussi logistici e rischi regolatori o ambientali che possono diventare problemi di chi acquisisce. È lì che si capisce se l’operazione rafforza la catena del valore o se aggiunge complessità.
Dal giorno dopo l’annuncio le sinergie dei comunicati si misurano con la vita concreta di impianti e magazzini. Di fronte a questo sovraccarico la reazione istintiva è stringere le maglie: standardizzare tutto – stessi KPI, stessi processi – per rimettere ordine e controllo. È in parte inevitabile, ma un’assimilazione totale rischia di cancellare ciò che ha reso l’acquisita interessante: flessibilità, competenze rare, relazioni storiche con i clienti. La vera scelta non è ‘standardizzare sì o no’, ma decidere dove imporre il modello del gruppo e dove praticare un ‘best of both’, lasciando che sia l’acquisita a dettare lo standard e diventare il laboratorio da cui il gruppo impara.
Questo gioco di pesi e contrappesi passa dalle persone. L’integrazione spesso si inceppa quando si prova a far convivere nello stesso perimetro chi si sente ‘acquirente’ e chi si scopre ‘acquisito’ e alza il muro del ‘si è sempre fatto così’. In quel momento il ruolo delle operations smette di essere solo tecnico e diventa politico: tenere insieme il sistema significa trovare un linguaggio condiviso e spiegare le priorità non solo al board ma a chi deve far girare gli impianti il lunedì mattina. Vuol dire scegliere poche iniziative e farle bene – mescolare le squadre sui progetti chiave, organizzare affiancamenti tra stabilimenti, decidere in fretta chi guida che cosa – invece di lasciare tutti in stand-by.
Le medie imprese che crescono per linee esterne da anni hanno codificato metodi, ruoli, routine per assorbire nuove realtà senza creare plant ‘sospesi’ o processi doppi; dove questa esperienza manca, si resta impantanati in organigrammi provvisori e decisioni rinviate, con effetti permanenti su costi e servizio. Un’acquisizione integrata male non è un incidente: è un peggioramento strutturale del conto economico. E se l’efficienza di fabbrica si traduce in marginalità migliore, è logico considerare i direttori operations parte della partita fin dall’inizio, non solo quando il contratto è già firmato.

