Pare, ormai da un po’, che non sia più la stagione del ‘domani sereno con leggere schiarite’. Siamo infatti in autunno inoltrato e si sa come fa il meteo durante la mezza stagione: cambia almeno tre volte durante la stessa giornata. E allora anche affidarsi alle previsioni diventa difficile, molto più importante è ‘vestirsi a cipolla’, avere gli strati giusti da indossare a seconda di quello che succede che illudersi con una previsione perfetta.
Per le aziende oggi succede la stessa cosa: il contesto è così instabile che non basta più provare a prevedere, bisogna organizzarsi per reagire. E per farlo serve una bussola che orienti tutte le altre scelte: quella, oggi, è (anche) la domanda. Nonostante sia diventata una variabile meno prevedibile, è sempre più determinante per la tenuta delle operations, perché dice dove mettere capacità, quanta scorta progettare e quali costi evitare. Le imprese oggi si trovano a lavorare con risorse limitate e costose, filiere interconnesse, ma dislocate, lead time diversi per area e trasporto: dalla domanda – che sia previsione, raccolta o analisi dei dati di mercato – parte una vera e propria ‘catena di trasmissione’ che aiuta a pianificare le attività e a rispondere meglio ai clienti.
Sarà proprio questo il tema del nuovo numero del settimanale OperationsManager, che sarà disponibile sul sito operationsmanager.it a partire dal primo pomeriggio di domani, venerdì 31 ottobre. L’inserto dedicato al mondo dei processi e dei loro architetti nelle fabbriche, edito da ItalyPost in collaborazione con auxiell e AzzurroDigitale, vedrà intervistate tre realtà (e tre dei loro protagonisti): F.I.L.A, Gervasoni e Preziosi Food.
Una considerazione forse non rivoluzionaria. Quello che è nuovo è che mentre per anni il verbo che andava a braccetto con la domanda era prevedere, oggi i direttori operations raccontano come non bastino più uno storico ben ordinato e indicazioni puntuali del marketing. Il forecasting continua a ‘illuminare la via’, ma il planning è la marcia: traduce quella luce in scelte operative, decide come distribuire capacità e scorte, quando cambiare assetto, con chi stringere l’alleanza giusta a monte. E, in un contesto che si muove così in fretta, non si tratta neppure solo di pianificare, ma di saper ripianificare. Cioè di rifare quella traduzione ogni volta che il segnale cambia, mantenendo il più possibile allineate la domanda di mercato e le risorse con cui l’azienda può rispondere.
La domanda allora viene naturale, come si tiene l’equilibrio tra capacità, scorte, tempi e costi quando il vento cambia tre volte al giorno? La risposta che (ri)torna dalle aziende è la revisione più frequente dei piani, non più un appuntamento mensile, ma un lavoro a ‘fiato corto’ che passa anche per risk management dentro la pianificazione: osservare in modo continuo la propria supply chain (rischio finanziario dei fornitori, geopolitico, perfino climatico), dare una priorità agli ‘anelli’ più esposti e attivarsi prima perché, come recita un vecchio adagio, la chiave è anticipare, non rincorrere.
Parlando di pianificazione della domanda non si può evitare il suo effetto più diretto: le scorte. La lettura del magazzino non va fatta poi a partire dal ‘quanto voglio avere in stock’, ma da che domanda sto vedendo e da con che velocità riesco a trasformarla in piani realizzabili. Se il segnale circola in azienda in modo chiaro e con la giusta frequenza, allora la scorta può veramente tornare a essere la conseguenza del processo e non una toppa. È l’S&op che, riallineando mercato e risorse, decide dove ha senso mettere un buffer (sul prodotto critico, sul semilavorato che separa previsione e ordine, sulla rotta più lunga) e quanto tenerlo per non immobilizzare capitale. E così anche la scorta diventa ‘figlia’ di un progetto: si disegna sulla variabilità osservata, sull’affidabilità dei fornitori e sui lead time reali per rotta e protegge lo snodo che separa ciò che viene prodotto su previsione da ciò che viene completato su ordine.
Quello che le aziende confermano è che l’altro scudo contro la variabilità è diventata la logistica, intesa non come trasporto ‘alla fine’, ma come una supply chain messa in condizione di assorbire gli sbalzi. Perché si può avere il planning più disciplinato del mondo, ma se a monte il segnale arriva tardi o il fornitore non si ‘piega’, tutta la tua ripianificazione resta teoria. Il tema è semplice: se si vuole pianificare una domanda che si muove veloce, devi far muovere veloce anche chi ti rifornisce. Questo vuol dire condividere in anticipo i segnali, concordare finestre d’arrivo, negoziare slot elastici, costruire un minimo di flessibilità contrattata – non per scaricare il rischio sul fornitore, ma per distribuirlo lungo la filiera.
In fondo tutto si riduce a questo: in uno scenario che cambia più volte al giorno non vince chi prevede meglio, ma chi si attrezza prima. Conta più la velocità con cui il segnale della domanda entra in azienda, viene ritradotto in piani, scaricato su capacità, scorte e fornitori, che non l’illusione di azzeccare il numero. È questo il senso del demand planning oggi: costruire una filiera – interna ed esterna – che accorcia la distanza tra “ho visto che sta cambiando” e “ho già fatto qualcosa perché stia in piedi”. Tutto il resto – forecast raffinati, algoritmi, modelli collaborativi, scorte progettate – sono strumenti per ridurre il tempo tra segnale e azione. È lì che, in un autunno instabile, si vede chi è davvero organizzato.

