Con la stessa cura con cui per decenni ha plasmato la moda italiana e internazionale, Giorgio Armani ha cucito la propria successione. Non un semplice atto notarile, ma un vero e proprio strumento di governo, lucido e minuziosamente dettagliato, che pare destinato a guidare il futuro della maison e, in caso di successo, a trasformarsi in un case study di riferimento nel panorama della moda internazionale. A differenza di tante dinastie italiane dilaniate da dispute ereditarie, infatti, lo stilista non ha lasciato nulla al caso: due testamenti, redatti a mano pochi mesi prima della morte e custoditi in forma segreta dal notaio Elena Terrenghi, stabiliscono la sorte di un patrimonio stimato in oltre 11 miliardi di euro e, soprattutto, le regole per garantire continuità a un impero costruito in oltre cinquant’anni di lavoro.
Il cuore della regia è la Fondazione Giorgio Armani, nata nel 2016 e destinataria del 100% delle azioni della società. La proprietà è suddivisa con precisione: piena titolarità sul 9,9% e nuda proprietà sul resto, con l’usufrutto ripartito tra il compagno della “seconda vita” di re Giorgio Pantaleo Dell’Orco, i nipoti Silvana e Andrea Camerana e la sorella Rosanna. Una divisione riflessa nello schema dei diritti di voto – 40% a Dell’Orco, 30% alla Fondazione, 15% ciascuno a Silvana e Andrea Camerana – e che premia la figura del manager, limitando al tempo stesso il potere di altri familiari come Rosanna e la nipote Roberta, escluse dal voto per prevenire eventuali conflitti.
Il disegno è italiano nella forma, ma internazionale nella sostanza. La volontà di Armani, infatti, obbliga la Fondazione a cedere entro 18 mesi una quota del 15% del capitale a un grande gruppo mondiale – tra i papabili: Lvmh, L’Oréal, EssilorLuxottica – e a valutare, tra il terzo e il quinto anno, un ulteriore passo: vendita fino al 54,9% o quotazione in Borsa. Sempre con un vincolo chiave: la Fondazione non potrà mai scendere sotto il 30,1%. Una scelta razionale e ponderata, riflesso di un uomo che ha sempre rifiutato di vendere, ma che non ha escluso l’ipotesi di un’apertura “postuma”, pensata per garantire stabilità ed equilibrio tra gli interessi di tutti i soggetti coinvolti. Le uniche condizioni: che sia regolata da norme chiare e rimanga fedele ai valori della maison.
Anche la distribuzione patrimoniale segue la logica del “bilanciamento dei pesi”. La quota in EssilorLuxottica – quasi il 2%, valutata 2,5 miliardi – verrà infatti ripartita per il 40% a Dell’Orco e per il 60% alla famiglia, con pacchetti simbolici destinati a collaboratori di lunga data come Michele Morselli, amministratore delegato della società L’Immobiliare di Giorgio Armani. Persino su questo fronte, l’attenzione è stata maniacale. Il palazzo storico di via Borgonuovo a Milano resterà in usufrutto a vita a Dell’Orco, con l’obbligo di conservarne arredi e ornamenti. Ma anche le residenze di New York, Parigi, St. Moritz e le case di vacanza sono state disciplinate da norme altrettanto puntuali, a tutela dell’armonia familiare e dell’integrità estetica dei beni.
Ma forse la parte più sorprendente del testamento è il decalogo morale e strategico lasciato dal fondatore. Non solo istruzioni operative, ma veri principi guida: gestione etica e trasparente, sviluppo costante del marchio, fedeltà a uno stile sobrio ed elegante, attenzione all’innovazione e alla qualità. Il tutto corredato da regole finanziarie stringenti: basso indebitamento, reinvestimento degli utili, prudenza nelle acquisizioni. Così la transizione non diventa terreno di scontro, ma un atto creativo e visionario che dovrebbe avere tutte le carte in regole per assicurare continuità a un marchio simbolo del made in Italy. Perché come in un abito su misura, ogni cucitura ha una propria funzione fondamentale. E ogni dettaglio rafforza la tenuta dell’insieme.