Oltre l’efficienza, appunto. Per anni è stata la parola magica delle operations: linee più snelle, sprechi tagliati, indicatori in miglioramento, scorte alleggerite. Un lavoro che in molte aziende è stato fatto, spesso bene. Ma oggi la scena è cambiata: la domanda è meno lineare, i prezzi delle materie prime si muovono a scatti, un provvedimento normativo o un blocco logistico possono ribaltare in poche settimane equilibri costruiti in anni. In questo scenario, ‘fare meglio e più veloce’ resta necessario, ma non basta più. L’efficienza è ridotta al ‘minimo sindacale’ per stare al tavolo, non la ragione per cui un’azienda sopravvive agli smottamenti.
Sarà proprio questo il tema del nuovo numero del settimanale OperationsManager, che sarà disponibile sul sito operationsmanager.it a partire dal primo pomeriggio di domani, venerdì 31 ottobre. L’inserto dedicato al mondo dei processi e dei loro architetti nelle fabbriche, edito da ItalyPost in collaborazione con auxiell e AzzurroDigitale, vedrà intervistate tre realtà (e tre dei loro protagonisti): Imab Group, L.E.G.O e Thermo Fisher.
Il primo spostamento riguarda il modo di guardare ai fornitori e alle catene di fornitura. In una fase più stabile ci si concentrava sul prezzo: far tornare il conto dell’euro a pezzo era l’obiettivo. Oggi la domanda è un’altra: quanto è esposto quell’anello della supply chain e quanto può costare, domani, una scelta solo apparentemente efficiente? Lo sa bene Streparava, dove la consapevolezza passa dai numeri. «Acquistiamo circa l’80% in materiali diretti rispetto a ciò che fatturiamo – spiega il direttore acquisti Paolo Bentivoglio – per questo il nostro successo dipende dal dimensionamento della supply chain e dalla sua puntualità». Con una struttura così sbilanciata sugli acquisti, ogni scelta impatta su margini e continuità. Bentivoglio porta un caso concreto: un fornitore in default, da sostituire in fretta. L’opzione più competitiva era a Taiwan, «ma Taiwan non è esattamente uno dei posti più sicuri in ottica di medio-lungo termine». La scelta è caduta su un fornitore europeo, «anche a scapito di qualche inefficienza economica» immediata.
È qui che il total cost of ownership prende corpo: «Non è solo l’euro al pezzo – sottolinea Bentivoglio – ma tutto ciò che può costare, o potrebbe costare, il fatto di non aver fatto una scelta ragionata». Per Streparava, il risk assessment non è più un esercizio formale, ma il modo in cui si leggono e si progettano le catene di fornitura. Questo cambio di sguardo non funziona senza un’infrastruttura informativa all’altezza. Le imprese sono piene di numeri, molto meno di decisioni tempestive. Il punto non è avere più dati, ma quelli giusti, nel momento giusto, in una forma che consenta di agire. Andrea Boccardo, account relationship leader auxiell, lo conferma: «Non si può gestire ciò che non si vede e non si può decidere se i dati non sono puliti».
Usare i dati in questo modo cambia la lettura dei processi. Si parte dall’uscita, dal magazzino spedizioni, da ciò che vede il cliente, e si risale all’indietro fino ai fornitori di secondo e terzo livello, chiedendosi dove si inceppa il flusso. È un’operazione ‘controintuitiva’ che sposta il focus dal problem solving in emergenza all’individuazione delle cause radice. Collo di bottiglia ricorrenti, fornitori sistematicamente in ritardo, set-up mai ripensati: sono questi dettagli a decidere se un’azienda regge una fluttuazione o va in crisi. Così la distinzione tra tattico e strategico diventa pratica: nel day by day si assorbono gli scostamenti, nel medio periodo si interviene dove il rischio economico e operativo pesa di più.
A cascata, cambia anche l’organizzazione. Il modello a silos non regge più un contesto in cui le decisioni chiave attraversano tutti i comparti. Le pratiche più interessanti passano per team misti che riuniscono chi conosce il cliente, chi vede il processo e chi firma gli ordini, con ritualità snelle e un mandato chiaro: ridurre il time to market, definire priorità condivise, decidere senza rimpalli. Ma la leva decisiva è la responsabilità spostata verso il basso. Da qui l’idea ambiziosa della ‘coimprenditorialità’: persone che non eseguono soltanto, ma incidono sul risultato complessivo, puntando al right first time «non per compiacere il capo», ma perché ogni errore è costo e fragilità.
Andare oltre l’efficienza significa spostare l’asse del mestiere delle operations in tre direzioni: trattare il rischio come variabile progettuale, usare i dati per decidere e non solo per misurare, ridisegnare lavoro e responsabilità perché chi è vicino ai problemi possa agire. L’efficienza resta ‘l’educazione di base’, ma il vero discrimine sarà la capacità di muoversi su questo ‘oltre’: un passo avanti sul rischio, un passo avanti nel modo di leggere i processi, un passo avanti nella qualità delle decisioni condivise.

